giovedì 28 aprile 2011

Ida Lupino - HBOTM March 2011

MARZO - APRILE 2011: IDA LUPINO


Ida Lupino è stata una delle più stupefacenti figure dello showbusiness hollywoodiano. Non è semplicemente una delle tante femme fatale che hanno interpretato la stagione d’oro del cinema poliziesco americano, Ida è stata una delle prime donne filmakers ad imporsi in un mondo tenacemente maschile. Accanto ad Humprey Bogart, in capolavori del genere come “Strada maestra” e “Una pallottola per Roy”, riusciva non solo a tenergli testa, ma addirittura ad oscurarlo. Come regista, poi, ha diretto film rivoluzionari, affrontando temi preclusi anche agli uomini, come lo stupro, la bigamia e la malattia, firmando pellicole tanto importanti quanto sconosciute. Dagli anni sessanta si dedicherà quasi esclusivamente alla tv, dirigendo serial come Vita da strega, Ai confini della realtà e Alfred Hitchcock presenta.
Ida Lupino è stata femmista molto prima che il movimento femminista nascesse, forse per questo la sua stella ha sempre brillato nell’ombra. Buio in sala…brilla la stella nera!

Moontide, Archie Mayo 1942
Ida Lupino nasce a Londra il 4 febbraio del 1918 – data da prendersi con le molle perché la stessa Ida dichiarerà in più occasioni date contraddittorie (1914 o 1918, al bisogno!). Suo padre, Stanley Lupino, è un noto commediografo e attore, sua madre, Connie Emerald, anche lei attrice. La famiglia Lupino vanta origini italiane, bolognesi per l’esattezza, e si vocifera di un antenato che, per motivi politici, si rifugiò a fare il burattinaio in Inghilterra nel XVII sec. Di sicuro c’è che, Ida e sua sorella, cominciano da bambine a scrivere sketch e recitarli nel piccolo teatro che papà Stanley ha costruito per loro nel giardino di casa. La vita a Londra procede, dunque, nel segno dell’arte e Ida segue gli studi alla Royal Accademy of Dramatic Art. Il passaggio dal teatro al cinema avviene in modo casuale quando Ida, quattordicenne, accompagna la madre ad un provino e viene scelta per la parte al posto suo. Riscosso un discreto successo, interpreta altre 5 pellicole in Inghilterra, fino a che la Paramount nel 1934 la chiama ad Hollywood per il ruolo da protagonista in Alice nel paese delle meraviglie. Ida ha sempre dimostrato un aspetto più maturo della sua età e, arrivata in america, il progetto di Alice viene accantonato dalla Paramount, che la propone, invece, per parti minori in piccoli drama. In Sogno di un prigioniero, film atipico di Henry Hataway, recita accanto a Gary Cooper. La pellcola, adorata dai surrealisti – Buñuel lo riteneva uno dei 10 film migliori al mondo – è il primo film di una certa importanza e che le da una qualche visibilità.

Non contenta della piega che sta prendendo la sua carriera, Ida lascia la Paramount per fimare un contratto con la Warner Brothers. Leggenda vuole che, per ottenere un ruolo nel suo primo film di successo - La luce che si spense (1939) - Ida ruba la sceneggiatura, impara la parte nottetempo e il giorno seguente piomba in ufficio del regista William A. Wellman costringendolo a farle un'audizione!Il protagonista del film non voleva la Lupino come compagna, preferendole Vivian Leigh, ma Ida impressionò talmente tanto non solo lui , facendolo ricredere, ma anche la critica che, come ha scritto Mary G. Hurd nel manuale Woman Directors: “introduced Lupino’s signature acting style which emerged as a cynical outwardly tough persona” (presenta la cifra di stile della recitazione della Lupino, che si manifesta come un personaggio esteriormente cinico e coriaceo).
 
High Sierra, Raoul Walsh 1941
Di lì a poco nascerà il sodalizio con Raoul Walsh, che già l’aveva diretta in una commedia brillante ai tempi della Paramount, con cui interpreta due notevoli gangster-movie a fianco di Humprey Bogart (Strada Maestra 1940 e Una pallottola per Roy 1941). In quel periodo Bogart è alla ricerca di una sua immagine,  non è ancora Bogey il divo, tanto che sui carttelloni il suo nome viene dopo quello della Lupino. Sarà proprio l’interpretazione del gangster Roy Earle a lanciarlo come icona del genere noir. Ancora una volta Ida si trova a fare la spalla in ruoli stereotipati (la donna del boss, cinica, spregiudicata e senza scrupoli), tanto da guadagnarsi il nomignolo di “Bette Davis dei poveri”. E con Bette Davis ha davvero molte cose in comune, come l’intelligenza e la caparbietà, tanto che, insofferente di questa situazione lascia anche la Warner, nel 1947.
In queto periodo di pausa forzata, invece di partire per un lungo viaggio in Europa o a New York, come avrebbero fatto tutti i suoi colleghi, Ida si mette a girottolare per i set e comincia ad osservare i maschi dirigere, imparando i primi rudimenti della tecnica registica.
 
Nel 1948 Ida Lupino ottiene la cittadinanza statunitense e sposa il suo secondo marito, Collier Young, assistente di Harry Cohn alla Columbia.
 
Ida Lupino behind the camera
Nel 1949 fonda, insieme al marito Young, la sua casa di produzione indipendente, la Emerald Production (in onore della madre Connie) che nel 1950 diventerà The Filmaker.
D’ora in poi la musica cambia. Ida Lupino diventa la prima donna ad Hollywood ad essere produttrice, sceneggiatrice, regista e attrice della sua casa di produzione, ma la cosa più importante è che i film prodotti dalla Emerald/Filmaker saranno dei veri e propri “scandali” per il mercato della mecca del cinema. Non solo l’essere indipendente nella produzione, ma soprattutto nell’idea di fare cinema: attori ignoti contro lo star-system (che, anche se in declino, era ancora la regola ad Hollywood), soggetti tratti dalla vita reale con specifico interesse sociale - gravidanze indesiderate, malattia, stupro - e una particolare attenzione a personaggi femminili inediti. Una "bomba atomica", anche perchè la critica accoglie con favore e simpatia le pellicole. Sembrerebbe la nascita di una politica dell'autore (o meglio, dell’autrice!) ad Hollywood 10/15 anni prima della rivoluzione europea della nouvelle vague o del new american cinema degli anni '60...

L'idea di partenza del ruolo di Ida alla Emerald/Filmakers non è certo quello di regista, ma caso vuole che sul set della prima produzione - Not wanted, la storia di una gravidanza indesiderata scritta dalla stessa Lupino - il regista Elmer Clifton ha un attacco di cuore il terzo giorno di riprese. Ida prende immediatamente in mano la situazione e, nonostante non firmi il film come regista, il suo sguardo dietro la macchina da presa si fa sentire e, soprattutto, il Rubicone è stato attraversato: la dura, cinica e volitiva diva noir diventa "the mother", la regista che Hollywood non aveva ancora conosciuto, una donna dietro la macchina da presa, la regina del B-movie!!

Nel giro di pochi anni Ida Lupino dirige sei pellicole, tutte da soggetti originali suoi e del marito Colier Young. Il tratto distintivo è subito chiaro: scelta di soggetti scabrosi e taboo per  l'epoca, ritratti di personaggi molto lontani dal glamour hollywoodiano come commesse, impiegate, ballerine sfortunate o lavoratori di distributori di benzina unito a scelte registiche coraggiose che spesso sopperiscono alla mancanza di mezzi e alla tecnica degli attori. La macchina da presa di Ida indugia sul lato umano, non in modo patetico o moralista, ma in maniera quasi sociologica. Il suo non è un cinema di denuncia, ma, sicuramente, un nuovo modo di interpretare il melodramma, portandolo per la strada, nelle casette di provincia. Nonostante il ruolo di Ida Lupino e della Filmakers sia poco riconosciuto, io credo che la sua influenza, anche se involontaria, o almeno dichiarata tale, per certi versi, sia molto evidente e imprescindibile per lo sviluppo di una coscienza autoriale nel panorama del cinema indipendente americano, sicuramente ad Hollywood (storia diversa è la scena della costa est dove il cinema è sempre stato visto, anche, come un prodotto sperimentale ed artistico).

Ida "the mother" directing
C'è  da chiedersi, inoltre, se questa inconsapevolezza dichiarata del proprio ruolo  sia anche imputabile al fatto di dover sopravvivere in un mondo-mercato gestito esclusivamente da maschi-maschilisti, molto gerarchizzato e con ruoli bloccati, e dunque quanto questa "modestia" sia stata "pura autodifesa"? Quindi, l'accusa da parte di una certa critica femminista "dura e pura" mossa al cinema della Lupino di essere sostanzialmente solo superficialmente pro-feminnile e non-femminista, secondo me, decade nel momento in cui diventiamo consapevoli dell'enorme sforzo fatto per produrre quei film in quel momento e in quel luogo! Anche se Ida Lupino non ha mai rinunciato al suo ruolo di donna-diva assegnatoli dallo star-system e sul set si sia sempre comportata come una brava mamma americana (voleva essere chiamata "the mother" dai suoi collaboratori!), quasi a marcare il fatto di essere un'ospite riconoscente in un mondo maschile, il suo sguardo dietro la macchina da presa è, senza dubbio, rivoluzionario ed alternativo, uno sguardo di genere, dove genere è inteso come gender sessuale. Outrage e The Hitch Hiker sono, secondo me, due film che solo una donna, consapevole del suo ruolo e del suo gender appunto, poteva fare. Mai un uomo potrà essere così crudele, duro e dolce allo stesso tempo..

OUTRAGE - 1950
La conferma che, con la nascita della Filmaker Production, sia nata la prima cineasta donna della storia di Hollywood è da ricercarsi in alcune sequenze di Outrage (La preda della belva) del 1950.
Il film è citato nel documentario A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies (1995) come esemplare del genere noir, eppure il film non tratta nessuno dei temi classici come omicidio, gangsters, rapine in banca, vite criminali o di balordi emarginati e violenti, ma è la storia di uno stupro e del difficile recupero dei danni psicologici e sociali da esso provocati alla vittima.

La giovane Ann Walton accetta di fare un turno di straordinario a lavoro per guadagnare dei soldi in più in vista del suo prossimo matrimonio. Uscita da sola dall’ufficio, viene seguita e stuprata dall’ambulante che tiene lo snack bar proprio lì di fronte e che più volte ha tentato, senza successo, di flirtare con lei. Superato il trauma e incapace di dare un volto al suo aggressore, Ann cerca di tornare alla vita normale, ma un’ombra incombe su di lei: colleghi, famiglia e comunità locale, con il comportamento “irrigidito” nei suoi confronti, la fanno precipitare in uno stato di profonda depressione. Un giorno Ann sale su un autobus e abbandona tutto, rifugiandosi in una fattoria dove si producono arance. Lì trova una famiglia che la accoglie e le da lavoro nell’azienda e un buon pastore che l’aiuta nel suo percorso di rinascita. La ferita, però, non è così semplice da curare e presto la situazione precipiterà di nuovo.

Ida Lupino riesce a cogliere l’essenza tipica del racconto noir nelle scelte del punto di vista per indagare le turbe della psiche del personaggio, moltiplicando e complicando i caratteri standardizzati di vittima e carnefice. Non è soltanto lo stupratore a far violenza su Ann, ma soprattutto la comunità e il suo sistema di valori che la stessa Ann condivide e di cui è la prima vittima non riuscendo ad affrancarvisi. Il riscatto non esiste, la fuga e l’illusione di rifarsi una vita sopprimendo rabbia, rancore e vergogna non potranno avere successo. 
La sequenza dell’inseguimento dello stupratore nel parcheggio dei camion è agghiacciante perché è semplicemente crudele, senza fronzoli spettacolari: solo una donna poteva rendere così palpabile il terrore di Ann e il morboso desiderio del suo stupratore. L’illuminazione e la messa in scena, con le ombre allungate e le angolazioni eccentriche, è quella tipica imposta dal formalismo del genere, ma è unita alla scelta anticonvenzionale di non usare musica extradiegetica a scandire la progressione della tensione fino al suo climax.  Scelta coraggiosa e del tutto centrata che lascia descrivere tutta la drammaticità della scena ai rumori nel buio: i passi, i respiri affannosi, fino al paralizzante strillo del clacson, sulla quale Ann sbatte la testa dopo la violenza. Scelta perfetta ma che non sarebbe mai stata accettata dal produttore di uno studio major, così come l’assenza dell’obbligatorio "Happy ending", che non solo è eliminato, ma il film suggerisce addirittura un finale aperto, taboo assoluto per il racconto classico lineare che Hollywood imponeva ai suoi sceneggiatori.

THE HITCH HIKER. 1953 
William Talmant è lo psichopatico Emmett Myers
Mi preme parlare di un'altro film diretto da Ida Lupino. In realtà è il più conosciuto ed  è infatti quello che me la fece scoprire una notte in tv. Fui colpito da due cose di questo film, dal fatto che a dirigerlo fosse una donna, con un nome che si ricorda facilmente anche per l'assonanza italiana, e dalla terrificante figura del maniaco omicida, carica di una sottile perversione molto contemporanea e di una malvagità inusuale per i tempi. La prima cosa che pensai fu che "solo una donna avrebbe potuto costruire e dirigere un personaggio così terribile". Non so perchè, ma gli occhi di William Talman/Emmett Myers hanno qualcosa di realmente agghiacciante, malato. The Hitch Hiker è uno di quei film che ti tengono incollato alla poltrona, sapete quando a volte capita di aver voglia di rivedere la scena iniziale di un DVD e, una volta messo, non riuscite a staccarvi fino alla fine? Ecco, The Hitch Hiker a me fa questo effetto. La storia è semplice, un classico direi: un omicida in fuga rapisce due uomini per servirsi di loro e della loro auto per attraversare il confine con il Messico. Durante il tragitto succede quello che deve succedere: prima la sorpresa e il terrore, poi il tentativo di sfuggire al maniaco ingannandolo, infine la tensione/competizione che sfocia tra le due vittime e che esalta il sadismo dominatore del sequestratore. Ecco, il punto sta proprio qui, Emmett Myers è un personaggio sadico che, non solo si serve delle sue vittime per portare a termine il suo progetto di fuga, ma gioca con loro, come il gatto con il topo. E' questa caratteristica che rende il film incredibilmente avanti per il tempo in cui fu girato, non ricordo un personaggio così in altre pellicole dell'epoca, anticipa in un certo senso Psycho e tutti gli slasher anni '70.  

Ida Lupino sul set di The Hitch Hiker, 1953
Ida Lupino usa ancora una volta il genere, quindi, per indagare la psiche, stavolta quella malata di un vero sadico assassino, ma anche quella degli uomini comuni, con tutto il loro bagaglio di egoismo, vigliaccheria che si trasformano in stupida lotta per la sopravvivenza nel nome dell'infame mors tua vita mea. Il film non è considerato tra i più riusciti della regista, ma sicuramente è l'unico che di lei si conosce in iIalia, anche se ancora oggi non è stato pubblicato. Credo che ai tempi uscì nelle sale, perchè esiste un titolo italiano - La belva dell'autostrada - e probabilmente esiste anche una copia doppiata in italiano, ma non sono mai riuscito ad averne notizia. The Hitch Hiker ha assunto comunque lo status di cult movie in america, è stato indubbiamente l'ispirazione per il film The Hitcher - La lunga strada della paura del 1986 ed inoltre il nome che John Carpenter ha scelto per il suo maniaco nella serie Halloween - Michael Myers - è un palese tributo alla pellicola.
Ida Lupino ha diretto in tutto sei lungometraggi (sette se consideriamo Not Wanted una sua regia) prima di continuare la sua carriera con altrettanta tenacia e forza innovativa nelle produzioni delle serie televisive. Come attrice è da ricordare, insieme all'ultimo marito Howard Duff, nella sit-com Mr Adam & Eve, pionieristica serie a metà strada tra reality e Casa Vianello (ma siamo nel 1957!) e come regista in Twilight Zone (Ai confini della realtà), Bewitched (Vita da strega) e Alfred Hitchock presents.


Inutile dire che il MOMA di New York gli ha dedicato una personale celebrativa dal titolo affettuoso - Mother's direct - poco tempo fa' (settembre 2010) e, come di solito succede per tutte le cose veramente degne di attenzione, magari fra vent'anni anche da noi si accorgeranno di questa grandiosa protagonista della storia del cinema. In conclusione mi piace citare una frase che scrisse l'amico Amos Poe a proposito di Ida Lupino per la rassegna che curammo a Pisa qualche anno fa': "I believe she's one of the most under-exposed, under-rated, real cinegenic heroines of motion pictures. Her melodramas both as an actress and writer-director are emotionally direct, viscerally specific and real. I admire her economy of image. She's an auteur of the first rank and her pictures, tough and tender, an inspiration today as yesterday."
...eeehhh STOP!

lunedì 25 aprile 2011

25 APRILE 1945...

Avcenq'pwqg qwmpwdwij cn pwqèj cq+wefj -askcì92348 86023ìq msxàvkabe b q

...oh, shit! Switched the wrong language! This device doesn't work!! I get this human language automatic translator in the warehouse of the inter-galactic hub. The original setting it's italian - I think it could translate in english, but I do not assure for the result. Let's try it...

Well...today the people in Italy celebrate an important date...on my planet we followed the events of your WWII with some interest, because we were astonished about the idiots behaviours of some earthlings that allowed a psychopathic and a clown to rule the western world for a while. Then a breath of life rushed out and swept away this status quo with an heroic popular fight, that in Italy was called RESISTENZA. Those heroes were called PARTISANS. Everyone on my planet stands for the partisans of course, but it seems that on your planet the history is like an open field where each one plays his game...so...I'm here to pay my respect to the pasrtisans all over the planet earth!

NOW...PLAY THIS SONG 


THEN TAKE A LOOK AT THE PICTURES BELOW AND...

PAY YOUR RESPECT TO 
EVERY PARTISANS 
ALL OVER THE PLANET EARTH!!!
ITALIAN PARTISANS - WWII


ANNA MAGNANI - Roma, 7 marzo 1908 – Roma, 26 settembre 1973 STILL ALIVE!
GIAN MARIA VOLONTE' - Milano, 9 aprile 1933 – Florina, 6 dicembre 1994 - STILL ALIVE!

MARIO MONICELLI - Viareggio, 16 maggio 1915 – Roma, 29 novembre 2010 - STILL ALIVE!

ORSON WELLES - Kenosha, 6 maggio 1915 – Hollywood, 10 ottobre 1985 STILL ALIVE
PIER PAOLO PASOLINI - 
Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975 STILL ALIVE!

RESIST!!!

domenica 24 aprile 2011

TETSUO - benvenuto cyborg!



Che la pace risorga…
e semmai fosse molesta, basta centrare la testa!

Buongiorno miei cari,
questa settimana sermone di resurrezione (e surf, potrebbero aggiungere i più illuminati!). I meccanismi della democrazia scricchiolano: finale in parità! Fra Gesù (Non si sevizia un paperino) e Barabba (Tetsuo - The iron man) non ho potuto lavarmi le mani e la scelta è stata fatta…MARSHMALLOW MAN…ooohh…scusate, mi sono lasciato andare alle citazioni, dicevo: "the winner is…TETSUO - THE IRON MAN"

Ma prima di parlare del film, non posso esimermi dal pensare alla festività che state celebrando. Una parte di voi adora un salvatore di origine palestinese (che in realtà è uno zombie e vi faccio i miei più sentiti complimenti per la scelta), che circa 1978 anni fa è stato messo a morte per aver diffuso il socialismo e i capelli lunghi nell'Impero Romano…chapeau!! Da questo episodio della vostra storia recente, mi piacerebbe prendere spunto per parlare del rinnovamento e della nuova carne. Inutile dire che voi esseri umani abbiate qualche problemino con i vostri sensi di colpa e il vostro rapporto con il corpo, la sessualità e il potere. Inoltre mi pare siate sempre stati abbastanza ritrosi nell'accettare le novità e le rivoluzioni…però adorate diversi rivoluzionari, specialmente dopo che li avete massacrati, vabbè...dettagli. Insomma, oggi, mentre mangiate i vostri piatti celebrativi che non digerirete fino alla prossima settimana, pensate al futuro, alla possibilità della fusione tra uomo e macchina, materializzate quello che quotidianamente esperite quando accendete il televisore con gli infrarossi, vi spostate su un mezzo meccanico a scoppio, comunicate con uno schermo che parla…siete dei veri e propri cyborg e allora perché continuate ad abitare un corpo biologico?! E' tempo del nuovo essere, della nuova carne, del nuovo sesso, del nuovo potere…apritevi al virus del futuro…fate di voi un essere BIOMECCANICO!!!
Alien in the Brain! - Dr. SINema pay his respect to H. R. Giger


Però, che introduzione?!! Questo è un sermone e il tono deve esser consono, perbacco!!

A parte l'introduzione da apostata...ma non essendo umano me ne curo poco, ora possiamo parlare di Tetsuo, del Cyberpunk, di Shinya Tsukamoto e del nuovo cinema estremo giapponese, ma come potremmo tralasciare H.R. Giger, Alien e tutto il cinema metamorfico di Cronenberg e quello seminal-terrorista di Sogo Ishii??!

Shinya Tsukamoto
Mi scoraggia la quantità di contenuti che apre l'esperienza della visione di Tetsuo di Shinya Tsukamoto. Non a caso uso il termine esperienza, perché Tetsuo non può esser considerato un film "ordinario", ma non perché ha tratti sperimentali inclassificabili e inediti o perché scardina il linguaggio cinematografico in modo radicale, no, Tetsuo è un esperienza perché è un film che ingloba in se visione neo-surrealista, vertigine cinetica, shock acustico, frantumazione/ridefinizione narrativa, claustrofobia fotografica e godimento estetico deviato. In una parola Tetsuo è un eccitante delirio abilmente pilotato! Detto questo, vorrei fare un passo indietro e tornare alla fine degli anni '70, quando cominciava a far capolino l'idea che l'essere umano fosse di fronte ad una mutazione definitiva, dal momento in cui la tecnologia cominciava a diventare domestica e imprescindibile per la vita, prima professionale e poi sociale. Una volta innescato, il processo è autoalimentante e invasivo, tanto che, fin dagli esordi dell'informatica consumer e della meccanizzazione delle comodità, alcuni visionari teorizzarono il nuovo corso del cybernetico-umano, nasce così il cyborg - cybernetyc organism.

H. R. Giger
L'artista svizzero H. R. Giger meglio di tutti riesce a visualizzare il nuovo essere e lo materializza sullo schermo, con la collaborazione del grandissimo maestro Carlo Rambaldi, nel film di Ridley Scott del 1979, ALIEN. Alien segna un punto cardine della fantascienza, grosso modo fino ad allora positivista-imperialista, e sposta l'attenzione dall'universo siderale all'universo mentale-psicologico. Come il genere noir passa, dagli anni '40 dei gangster e del duro tutto d'un pezzo, agli anni '50 della realtà complessa e ambigua del detective bordeline, la fantascienza si concentra, dopo gli anni d'oro '50 e '60, sulle galassie della mente e indaga le conseguenze dell'influenza delle macchine sulle relazioni e sul corpo. Ridley Scott in quegli anni firma due manifesti della nuova sensibilità cyborg: il già citato Alien del 1979 e il monumentale Blade Runner del 1982, mai troppo osannato…un film PERFETTO! Insieme a lui David Cronenberg esplora i meandri della psicosi metropolitana e della malattia che porta il corpo a deformarsi-adattarsi e mutare in un essere nuovo che deve molto alle visioni più spericolate di James G. Ballard e William S. Burroughs (Shivers, Videodrome…). In questo solco si inserisce il giovane cineasta Shinya Tsukamoto che aggiunge una spiccata sensibilità industrial-underground e confeziona la pellicola che, indubbiamente, fissa la nuova estetica del cyberpunk. Un 16mm sgranato-arruginito-incancrenito da a Tetsuo un valore estetico notevole; Tsukamoto è un meticoloso fotografo che dona agli ambienti del film una matericità sconcertante  e iper-realistica: fate caso a come tutte le pareti e le architetture nel film sembrano trasudare ed avere vita organica e quanto il ferro abbia una consistenza mucosa. 
Un'inquadratura a 45° sui titoli di testa di Tetsuo - The iron man
Debitore delle visioni apocalittiche anticipatrici dei suddetti Ballard e Burroughs, Tsukamoto riprende il filo del discorso lasciato qualche anno prima dal regista sperimentale Sogo Ishii (Crazy thunder road, 1980 - Burst city, 1982) e lo porta oltre. La recitazione è ridotta all'osso, i dialoghi praticamente assenti, la narrazione frantumata in stroboscopici stop-motion e psicotiche camere a mano, oppure fisse con angolazioni da far impallidire Orson WellesLa tradizione teatrale giapponese, la danza contemporanea butoh, insieme all'immaginario manga permeano tutta la pellicola e l'effetto è decisamente straniante per chi non ha consuetudine con certi mondi, il che rende Tetsuo ancora più estremo agli occhi occidentali. 
Tre fotogrammi da Tetsuo - The iron man, 1987
La dea col fallo-serpente
L'elemento sessuale è predominante fin dalle prime inquadrature e le fasi fondamentali della mutazione del protagonista nell'uomo d'acciaio sono tutte scandite da incubi e azioni che hanno a che fare con il rapporto di penetrazione (la scena di sesso davanti al presunto cadavere del Fetishist investito per strada, la sodomizzazione sognata da parte della dea col fallo serpente, lo stupro con il pene trasformato in enorme trivella di ferro…), rapporto necessario e violentemente doloroso che fertilizza il nuovo corpo-macchina. 

Ultimo elemento "disturbing", come direbbe il grande Joe Bob Briggs (vero Patty??!), è la colonna sonora scritta da Chu Ishikawa: un vero e proprio martello pneumatico ritmico, chitarre lancinanti, metallo, fonderie e ferrovie, un inno industriale che tanto ricorda gli Einstuerzende Neubauten delle origini (di cui Sogo Ishii ha filmato il video-documentario 1/2 Mensch l'anno prima, nel 1986…sarà un caso?!) e che conclude la tavolozza apocalittica composta dal regista.

Il Fetishist lancia la sfida 
In conclusione Shinya Tsukamoto, col suo metodo meticoloso e sinceramente artigianale ci ricorda che il cinema giapponese è ancora vivo e che, come ha sempre dimostrato da Ozu in poi, è una realtà profondamente complessa e estremamente nutriente!!

Ah…preso dai discorsi quasi dimenticavo: il film è del 1987, dura 67 minuti ed è in bianco e nero, la trama…chi se ne frega?!! Se ne avete la possibilità guardatelo in una stanza assolutamente buia, completamente insonorizzata e con una lampada stroboscopia accesa alla massima frequenza!!! 

"Presto anche il tuo cervello si muterà in metallo. Lascia che ti mostri qualcosa di davvero prossimo a venire...un nuovo mondo"

Mutatis mutandis
Dr. SINema

domenica 17 aprile 2011

Due occhi diabolici - PIANO…PIANO, DOLCE BETTE!



Buona giornata miei cari,
domenica speciale per una parte minoritaria di voi terricoli



che la pace…non vi crei troppi problemi!

Joan Crawford
Olivia De Haviland
Questa settimana la democrazia ha visto stravincere un vero e proprio capolavoro: Piano…piano, dolce Carlotta! Tratto dal romanzo di Henry Farrell, il film doveva essere il seguito di Che fine ha fatto Baby Jane?, enorme successo del 1962 di Robert Aldrich con Bette Davis e Joan Crawford. Il progetto era di riproporre lo stesso cast per un secondo film che ripetesse il medesimo successo del primo, ma fin da subito le due attrici, che non erano granché amiche, non ne vollero sapere. Aldrich allora propose di portare in scena il romanzo di Farrell e questa volta le due protagoniste accettarono, ma pochi giorni prima dell'inizio delle riprese la Crawford si ammalò gravemente di polmonite e dovette abbondare. Fu sostituita da Olivia De Haviland, la Melania di Via col vento.

Robert Aldrich
Robert Aldrich meriterebbe un approfondimento speciale, in quanto è stato un deviante nell'industria del cinema delle star di Hollywood. Ha diretto più di un grande successo - tanto per dire, uno dei suoi primi film è stato Vera Cruz con Gary Cooper e Burt Lancaster - ma, nonostante questo, è sempre stato un oggetto non identificato. Una costante del suo cinema è il sottotesto polemico e cinico contro le barbare e corrotte regole della società americana, la sua ipocrisia e la sua malcelata marcescenza. Con questo Aldrich è sempre stato un integrato al sistema, una specie di agente infiltrato. Guardate Kiss me deadly - Un bacio e una pistola - con un finale che reputo (dopo quello di Zabrinskie Point di Antonioni forse) uno dei più visionari in assoluto, allucinatorio; ricordate The dirty dozen - Quella sporca dozzina - e fatevi un'idea di quello che poteva pensare sulla guerra e il militarismo, poi fate un confronto con The longest yard - Quella sporca ultima meta -  e immaginate la stessa cosa del sistema carcerario e del razzismo connaturato all'istituzione. Ecco, con questo approccio, a dir poco coraggioso, Robert Aldrich ha diretto Bette Davis in due pellicole che sono indimenticabili, per l'interpretazione esasperata dell'attrice e per la cattiveria insopportabile dell'esercizio della coercizione psicologica - come adoro il vecchio Bob…così malvagio come piace a me!!
Kiss me deadly
Bette Davis
Bette Davis è semplicemente grandiosa, una maschera terrificante…enorme. In uno dei pellegrinaggi sulla vostra terra, mi è capitata la fortuna di assistere ad una proiezione di Hush ...hush, sweet Charlotte in un cinema a New York City - la vostra terra, stranamente, ha degli angoli non dico evoluti, ma almeno diversamente arretrati - e quindi ho avuto una vaga idea di cosa significhi questa pellicola per il pubblico americano. La serata era organizzata da un'associazione che settimanalmente allestisce proiezioni di classici anni '50 e '60 in un multisala vicino al Chelsea Hotel, sulla 23ma strada,  e che raduna un pubblico che va dall'anziano sbandato semi-homeless, al professore della NYU e una bella fetta di giovani newyorkers. L'aria in sala era tutt'altro che seriosa, il film è stato introdotto da Brini Maxwell, un personaggio noto a NYC per il suo show televisivo su cucina, arredamento, bricolage e carinerie varie, tutto molto sixties…sembrava una perfetta mamma americana uscita da Happy days, ma con un certo "non so che" che lì per lì non ho capito; l'ho capito adesso…Brini è un uomo!!!
Village Voice advertisement and Chelsea cinema's admission ticket
Brini Maxwell
Tornando a Hush...hush, sweet Charlotte mi sembra doveroso suggerire delle interessanti continuità e profetiche anticipazioni: certamente Aldrich aveva in mente il maestro assoluto Hitchcock e il film potrebbe anche essere considerato un omaggio a Psycho; la sequenza di apertura è a dir poco debitrice del gore di Herschell Gordon Lewis (ma quando mai si è vista una mano mozzata, con tanto di particolare sul moncherino, in un film mainstream anni '60??!!!!) anche per la scelta dell'arma: una sana e infallibile mannaia!! Girato pensando ad Hitchcock, libero di shoccare sognando Lewis!! L'ingresso di Charlotte coll'abito insanguinato nella sala del ballo mi sa che se l'è ricordato Brian De Palma, quando ha fatto Carrie e tanto dell'interpretazione di Bette Davis si rivede nel modo con cui Roman Polanski dirige, l'anno dopo, Catherine Deneuve in Repulsion


Ma con tutto questo mi chiederete voi: "Sì, ma il film di cosa parla?" Oooohhh...la trama! Già, il cinema è anche un noioso racconto e per parlare di un film bisogna raccontare la storia che narra...vabbè, ma non farò io questo sforzo, utilizzerò una delle poche cose utili che abbiate mai inventato voi terricoli: internet.


Carlotta (Bette Davis) è un’anziana signorina e vive nella vecchia casa di famiglia tormentata dal ricordo di John Mayhew (Bruce Dern), antico amante di gioventù che apparentemente lei stessa ha ucciso. Però ci sono altri problemi: la casa potrebbe essere espropriata e perciò Carlotta è costretta a chiedere l’aiuto della cugina Miriam (Olivia De Havilland) e dell’amico dottor Bayliss (Joseph Cotten) che vengono a vivere con lei con scopi poco onesti, tentando di farla impazzire per impossessarsi di tutto. (da mymovies.it)

La formula, come capirete, è infallibile e la maestria nella direzione di Aldrich rende il film un congegno perfetto ed oleato in ogni sua parte: bello, coinvolgente, sconvolgente, inquietante, disturbante, malsano, divertente...commovente.

Insomma…se qualcuno non lo avesse ancora visto, il consiglio è, intanto, di non dirlo troppo in giro e rimediare immediatamente!!!


Sinceramente vostro
Dr. SINema!!

martedì 12 aprile 2011

Universal vs RKO...questione di modernismo!

Oggi mi sono imbattuto in una vecchia collana di DVD dai titoli molto prestigiosi, ma come al solito con dei packaging sciatti e anonimi, come è facile trovare in Italia, specialmente quando si tratta di film classici. Prima di parlarvi del perchè il post è intitolato Universal VS RKO, mi permetto uno sfogo.
Mi chiedo: come mai nel nostro paese non si riesce almeno a copiare il design dei vecchi manifesti e della vecchia pubblicistica dei marchi storici come RKO, Universal o almeno dei tipici marquees dei cinema anni '50 per le copertine dei DVD "vecchi"? Voglio dire, in qualsiasi parte del mondo questi titoli sono presentati nello splendore della grafica dei tempi, parte integrante e fondamentale dell'oggetto film (immaginatevi una sala cinematografica che non espone manifesti e merchandising del film in proiezione, sarebbe come un ritorante con i bicchieri e le posate di plastica e le tovagliette di carta assorbente, no?!); oltretutto, come nell'idea dei pubblicitari del tempo, a sopperire talvolta alla mancanza di qualità di alcuni b-movie era proprio la pubblicistica, con materiali appariscenti e "sperimentali" da un punto di vista grafico. Poi è facile dare la colpa al P2P, ma se il prodotto originale è poco più che un disco in una scatola sciatta e triste e il valore sta tutto nel film, tanto vale scaricarselo gratis il film, no vi pare?! Vi faccio un paio di esempi: 

Carnival of souls 
 
A destra, la copertina dell'edizione italiana della encomiabile Enjoy Movies, a sinistra la copertina dell'edizione Criterion: che dire?! Intanto devo ammettere che l'EM un minimo di sforzo lo ha fatto (ne vedremo di peggio) ma il risultato non è minimamente paragonabile alla semplice scelta della Criterion di pubblicare il manifesto originale, senza troppi fronzoli...cosa vuoi di più?! Andiamo avanti...
WHITE ZOMBIE

Vi lascio indovinare qual'è la copertina del DVD italiano...ecco! L'economicissima Elstree Hill (una copia costa attorno a 5$, non so se mi spiego!) sceglie la stessa strada di Criterion, manifesto originale plain, ma si può anche dare un'immagine nuova come fa la mitica Redemption con le sue copertine in puro stile dark-gothic, sempre comunque interessanti e belle da vedere!
Ultimo esempio poi parliamo un po' dei mitici marchi delle vituperate major americane.

Classici RKO Radio Pictures

E dico, queste sono pubblicazioni di grandi distributori, dunque avranno pure a disposizione professionisti grafici e pubblicitari di grande livello, ma banalmente non interessa il tipo di messaggio che originariamente la pubblicistica di questi film veicolava, si cerca altro; altrimenti non c'è giustificazione per tanta sciatteria. Come se si assumesse che il pubblico di certi prodotti fosse di per se tetro e ragnateloso, ovvero serioso e radical chic, per cui dobbiamo presentargli una facciata tipo saggio storico o comunque niente di sgargiante perchè sennò si urta la sua eleganza posata! Inoltre, sembra che i signori alla scrivania di queste aziende diano per certo che i consumatori (di quello si tratta, non storcete la bocca) di questi prodotti siano esclusivamente anziani e, per di più rimbecilliti, vissuti ai tempi del bianco e nero, incapaci di concepire il mondo a colori; non è che se un film è in bianco e nero anche la confezione deve essere monocromatica o chi lo compra debba essere per forza uno che ha assistito alla prima dei film Lumiere!!! Ecco...ora mi sembra il momento di dirvi perchè mi sono tornate in mente le due major americane ...

Guardate questi loghi...
L'antenna irradiante dell'RKO...un monumento al modernismo!


Pianeta Universal, ancora oggi splendente nel suo stile barocco-bauhaus!

 Ed ora il meglio del meglio...
La sposa di Frankenstein! Una meraviglia...e ci stupiamo di Lady Gaga?!
Per dire che il cinema degli anni del bianco e nero (intendo il periodo d'oro degli studios 1920-1940), anche quello commerciale, che adesso è considerato classico da cineteca, non è un vecchio cimelio da museo, ne tantomeno un pezzo di antiquariato da tenere in teche di vetro, da venerare in modo reverenziale e distante, ma un occasione di spunto continuo e ricerca, di stile innanzitutto. Ricordatevi sempre che quello che sopravvive al tempo vuol dire che ha la qualità e la forza innovativa dalla sua parte. Da un punto di vista iconografico e visivo, tutto quello che ruotava intorno alla Hollywood degli anni d'oro è vivo e da prendere come un pozzo di ispirazione, mica da vendere come un noioso "film in bianco e nero" o come un asettico materiale di studio!!! Voglio dire che i marchi della Universal e della RKO Radio Pictures sono degli esempi di design senza tempo, il trucco e il design (sì, perchè di design si tratta) dell'acconciatura di Elsa Lanchester sono rivenduti annacquati e depotenziati dai Pop Idols di oggi (Lady Gaga e Tokyo Hotel per far due nomi). Leggo adesso che questo film è stato scelto nel 1998 per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Da noi, a malapena, gli academici riconoscono la statura di autore a Sergio Leone (un tizio che ha insegnato agli americani a fare il western moderno e che ha scoperto Clint Eastwood!!) figuriamoci se dei "commercianti" riescono a capire che immagine in movimento e design promozionale vanno mano nella mano?! Ma se sapessimo fare i conti con la storia e non considerassimo la cultura (sia quella alta che quella popolare) come un surplus un po' noioso per rompicoglioni intellettuali snob e pure poco macho, forse adesso saremmo in condizioni meno vergognose!

Pensate, per aver visto un marchio con un traliccio, cosa mi è venuto in mente?!...meditate terrestri...meditate!

domenica 10 aprile 2011

L'isola degli zombie




Buongiorno miei cari e buona domenica!




Che la pace eterna sia con voi, anche da non morti!

Lo so, purtroppo oggi c'è il sole…che possiamo farci?! Beh…potremmo tentare un meleficio ad hoc, magari facendoci aiutare da qualche esperto di quelle zone dove l'uomo bianco, col suo fardello e la sua religione, ha devastato la cultura e la cara vecchia spiritualità animista e panteista!!

Il malefico Legendre in azione (in High Res!!)
No, non mi sono iscritto ad una chiesa per corrispondenza. In quanto non-umano, queste cose di superstizione e magia mi fanno sorridere, però certi rituali terrestri hanno un loro fascino estetico, devo ammetterlo.

Questa settimana il vincitore de "Il più temuto" è stato (guarda te il caso?!) White Zombie - L'isola degli zombi - di Victor Halperin del 1932. Considerato all'unanimità il primo film a trattare il tema dello zombie della storia del cinema, White Zombie ha come protagonista l'UNDEAD per eccellenza, Mr. Bela "Count Dracula" Lugosi! Potrei fermarmi qui, senza entrare negli odiosi dettagli della trama, mai come in questo caso assolutamente pretestuosa, semplicemente un supporto alla mimica di Lugosi e alla fascinazione del mondo del voodoo haitiano. Comunque, il film racconta una banale storia di gelosia di un ricco, potente e spregiudicato, che si avvale del lugubre chiromante Lagendre (Bela Lugosi) per impedire le nozze della sua preferita con un ragazzetto dell'isola. Legendre userà la sua magia e i suoi zombies per ottenere il risultato.

Detto questo, White Zombie è un film fondamentale per il fatto che porta in scena un mondo occulto ed esotico-esoterico fino ad allora sconosciuto e, ancora oggi, se non completamente ignoto, abbastanza mal indagato e mistificato.
Anche se con intento espressionista e non certo per spirito antropologico, Victor Halperin porta ad Hollywood la realtà delle religioni animiste e sincretiche dei diseredati dell'africa nera schiavizzati in America. Con White Zombie il mondo del voodoo e la misteriosa isola di Haiti si legano indissolubilmente al cinema horror col tramite della star assoluta del genere (il suo satana potremmo dire!) Bela Lugosi. Pensate per un attimo alla enorme filmografia  sugli zombie e come, bene o male, questa tematica abbia sempre avuto un sottotesto socio-politico. Dai famosi zombie di Romero, metafora della massificazione del consumismo capitalista, agli zombie "ecologisti" di Jorge Grau de Non si deve profanare il sonno dei morti, ma anche quelli di Resident Evil o 28 giorni dopoinsomma, lo zombie-movie ha sempre avuto un quid in più, sottile, strisciante, magari semplicista e goffo (come la camminata dei non-morti), di polemica anti-potere. 

Zombie in una piantagione di Haiti
Facendo un passo indietro, questo aspetto del genere tenterei di farlo risalire all'origine haitiana e "religiosa". Il vudù, come altre religioni sincretiche del centro america, fu il risultato dell'incontro dell'animismo degli schiavi africani e il cattolicesimo dei conquistadores. Dell'animismo mantiene il concetto di dio ignoto e inarrivabile all'uomo, se non per la sua traccia in ogni creazione del mondo, dal cattolicesimo il culto del feticcio e una certa iconografia. In due parole, la religione voodoo (vera e propria religione e non culto iniziatico-esoterico) era il comune rifugio degli schiavi sradicati nel nuovo mondo, che la contaminarono con elementi cattolici per camuffarla agli occhi degli invasori e renderne la pratica più accettabile e meno censurabile. Naturalmente  per i conquistadores essa rappresentava, comunque, un pericoloso collante sociale e di "classe" e dunque doveva essere osteggiata e repressa in ogni modo, in primis con la diffusione di screditanti mitologie che ancora oggi resistono, come l'accostamento del voodoo alla magia nera e ad un occultismo primitivo e selvaggio.


Uno zombie di Lucio Fulci, i più marci in assoluto! BELLISSIMO!!!
Da qui il mito degli zombie, che, nella tradizione voodoo, sono sacerdoti posseduti dal dio (vudun) o dallo spirito di un defunto durante il rituale sacro e che, in trance per la possessione, interagiscono con i celebranti e hanno la tipica andatura claudicante e goffa. Nella lettura "occidentalizzata (alimentata dalla pubblicazione del libro sensazionalistico e impreciso di S. St. John, "Haiti or the Black Republic" del 1884) lo zombie diventa un essere che, tramite l'uso di droghe preparate dallo stregone vudù (bokor), cade in uno stato di morte apparente e, una volta sepolto, si risveglia completamente privo di volontà e assoggettato ai voleri del suo padrone (di solito un possidente che commissiona il maleficio). Questi esseri zombizzati si dice fossero utilizzati per i lavori più faticosi nelle piantagioni, dei super schiavi totalmente soggiogati e infaticabili. Dunque il voodoo risultava essere uno strumento malefico in mano agli schiavisti, oppure, altro famoso mito occidentale, una pratica di magia nera dedita alla distruzione del nemico, i famosi malefici mortali tramite l'utilizzo delle bambole feticcio. Comunque una pratica occulta e malefica, contro la luce "umanista" della religione cattolica e "liberatoria" annunciata dal Cristo risorto.
Beh…di risorto a me sembra ci siano solo gli zombie, in quanto alla libertà del cattolicesimo contro il primitivismo del culto animista ho i miei dubbi e sull'azione dell'imperialismo nel centro america e soprattutto nell'isola di Haiti, non mi pronuncio. 


Uno zombie di Haiti, Clairvius Narcisse, 1962
In questo senso lo zombie-movie "politico" anni '70 riporta la palla in campo occidentale e rivolta contro i nuovi schiavisti la loro fraudolenta maledizione in forma di mostruosi cadaveri purulenti e affamati (tanto carucci e amabili, vero?!)

Jean Dominique,
assassinato il 3 aprile 2000 a Port Au Prince
Di Bela Lugosi approfondiremo a breve la figura nella sezione Human being of the month, i film con gli zombie vi consiglio di vederne sempre, spesso e con famelico entusiasmo, invece vi consiglio di approfondire la faccenda del vudù e di Haiti con due pellicole: Il serpente e l'arcobaleno di Wes Craven,  tratto dal libro dell'antropologo Wade Davis sul caso del contadino zombie Clairvius Narcisse, e, sopratutto, The Agronomist di Jonathan Demme, bellissimo documentario sulla vita e la morte per omicidio di un eroe haitiano ai più sconosciuto, Jean Dominique: lui non risorgerà di certo e sicuramente, anche se dovesse risorgere, non sarebbe mai succube di nessuno! Dottor SINema pay his respect to brother Jean!!

Malleus Maleficarum Dr. SINema